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venerdì 2 luglio 2010

AVVISO

Oggi non si terrà l'appello di Informatica applicata al giornalismo! Si sposta probabilmente a martedì 6 e mercoledì 7 Luglio.

giovedì 1 luglio 2010

Report, Gabanelli contro la "legge bavaglio"

DIFENDIAMO LA LIBERTA' DI STAMPA

Oggi a Roma, in piazza Navona, si svolge una manifestazione nazionale contro la legge delle intercettazioni e a questo proposito, quasi un mese fa, ho letto un articolo di Stefano Rodotà che voglio pubblicare qui sul blog per manifestare a distanza, non potendo essere presente a Roma fisicamente, insieme a coloro che oggi sono là a difendere la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad essere sempre informati in modo corretto e completo. Perché senza informazione e senza possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, si perdono alcuni di quei principi fondamentali su cui una vera democrazia dovrebbe basarsi.


La legge che ordina

il silenzio stampa


Se la legge sulle intercettazioni verrà approvata nel testo in discussione al Senato, sarà fatto un passo pericoloso verso un mutamento di regime. I regimi non cambiano solo quando si è di fronte ad un colpo di Stato o ad una rottura frontale. Mutano pure per effetto di una erosione lenta, che cancella principi fondativi di un sistema. Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull'esercizio dei poteri, le possibilità d'indagine della magistratura. Ci stiamo privando di essenziali anticorpi democratici. La censura come primo passo concreto verso l'annunciata riforma costituzionale, visto che si incide sulla prima parte della Costituzione, quella dei principi e dei diritti, a parole dichiarata intoccabile? Se così sarà, dovremo chiederci se viviamo ancora in uno Stato costituzionale di diritto.

APPELLO E MOBILITAZIONI SUL WEB

Questa operazione sostanzialmente eversiva si ammanta del virtuoso proposito di tutelare la privacy. Ma, se questo fosse stato il vero obiettivo, era a portata di mano una soluzione che non metteva a rischio né principi, né diritti. Bastava prevedere che, d'intesa tra il giudice e gli avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti; si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza; si rendessero pubblicabili, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le  intercettazioni rilevanti. 
Su questa linea vi era stato un largo consenso, che avrebbe permesso una approvazione a larga maggioranza di una legge così congegnata.
Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.
In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?
Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.

Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.

Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.

Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressione


Un velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata.
(8 maggio 2010) 

Comunicazione politica e spin doctoring

Quello della politica rappresenta un modello di comunicazione molto attuale, prodotto da un'interazione tra il sistema politico, quello dei media e il cittadino/elettore a cui essi si rivolgono.
Questo tipo di comunicazione viene normalmente utilizzata non solo con l'intenzione di informare, ma anche e soprattutto con quella di persuadere, in quanto il fine ultimo è la ricerca del risultato e l'ottenimento del consenso. Per raggiungere questo obiettivo dunque, non basta essere competenti e preparati a livello informativo, ma è necessario anche possedere un'ottima dialettica, una grande capacità di scrittura e avere un talento che non tutti riescono a sviluppare: la capacità di saper persuadere. Numerosi leader politici, americani e non, per quanto competenti, hanno inesorabilmente perso le elezioni a causa della mancanza di capacità comunicative adeguate durante la campagna elettorale. 
La comunicazione politica quindi non si presenta certo facile e per questo motivo la maggior parte dei politici si serve di intermediari, che essendo abili comunicatori, sono in grado di fare propaganda e gestire il settore comunicazioni.
Tra questi, una figura che mi pare particolarmente interessante è quella dello spin doctor, un consulente esperto di comunicazione, che affianca i politici nelle loro attività, occupandosi della loro immagine, valorizzandola come se fosse un prodotto, attraverso le tecniche di marketing, scrivendo discorsi, curando le pubbliche relazioni e spesso orientando e manipolando le notizie divulgate, a favore dei candidati per cui in quel momento lavorano. 
"Spin", nel linguaggio del baseball significa "roteare vorticosamente" e se noi applichiamo questo significato alla comunicazione e alla figura dello spin doctor, si può facilmente intuire che la sua più grande abilità è quella di manipolare le notizie e di conseguenza anche i media e gli utenti.
In Italia questo tipo di consulente non è ancora così utilizzato, ma i politici fanno sempre più affidamento su queste figure professionali che conoscono nei minimi dettagli i meccanismi dell'informazione, sanno come influenzare l'opinione pubblica e come anticipare e controllare il flusso delle notizie, perché sono a conoscenza delle esigenze e dei tempi di lavoro dei media e sono quindi in grado di gestirli e sfruttarli a proprio vantaggio, o meglio, a vantaggio di chi li assume. 
L'attività di un comunicatore esperto ha ovviamente come obiettivo quello di sensibilizzare e influenzare l'opinione pubblica a favore del candidato, fornendo un'informazione corretta e notizie sicure, basate su dati concreti, ma a volte questo non avviene, soprattutto nel momento in cui gli spin doctor approfittano della loro posizione e della credibilità delle istituzioni, per influenzare e manipolare oltre i limiti consentiti, mettendo così davanti al bene del paese, gli interessi dei singoli politici.
    

mercoledì 30 giugno 2010

Intranet...tutti sanno cos'è?

L'ultima lezione di informatica applicata al giornalismo si è incentrata sulla comunicazione interna e in particolare sulle modalità di funzionamento di Intranet. Prima di allora conoscevo vagamente che cosa fosse, del resto non mi è mai capitato di usarla, ma nell'ultimo periodo ho approfondito l'argomento e ho cercato di capirne qualcosa di più.
Come facilmente si può leggere da wikipedia, Intranet è una rete locale utilizzata solitamente dalle organizzazioni, per rendere più facile ed efficace la comunicazione interna, in quanto permette di inserire e reperire informazioni utili per tutti i dipendenti. 
Nonostante sia simile a un sito web e presenti le stesse modalità d'uso, permettendo quindi la navigazione ipertestuale e la ricerca per argomenti, resta però una rete circoscritta all'azienda, protetta da sistemi di sicurezza e riservata alle persone autorizzate, che possono accedervi soltanto tramite una  password.
Intranet rappresenta quindi un ottimo mezzo per rendere accessibili a tutti informazioni e servizi utili: bacheche virtuali, rubriche telefoniche, chat, rapporti settimanali, promemoria, avvisi, insomma, tutto ciò che incentiva la collaborazione e permette di migliorare i flussi di lavoro e il coordinamento delle attività, con un notevole risparmio di tempo per l'azienda.
La presenza di questa rete inoltre, non solo permette di fornire informazioni sull'organizzazione dell'impresa, ma è un'efficace soluzione per risolvere problemi di comunicazione che possono verificarsi soprattutto per telelavoratori, lavoratori fuori sede e dipendenti che si spostano frequentemente e che in questo modo  possono rimanere costantemente aggiornati, pur essendo distanti dalla loro sede lavorativa.
Una descrizione simile di Intranet mi è stata fornita anche da una persona che nel 2005 ha lavorato al centro oncologico del Policlinico di Modena e che ha avuto modo di utilizzarla frequentemente. Occupandosi della segreteria, il suo compito era quello di gestire i contatti e gli appuntamenti, che venivano registrati all'interno di un programma della rete chiamato "Pegaso", grazie al quale era possibile anche reperire informazioni sul passato clinico di ogni paziente, il nome del medico che li aveva in cura in quel momento e le raccomandazioni basilari a seconda degli esami da affrontare. Tutto questo significava quindi: agevolazioni per il dipendente nel gestire il proprio lavoro e un miglioramento nella comunicazione esterna con i pazienti.
Nella rete interna del Policlinico era poi presente uno spazio personalizzato per ogni utente, con gli aggiornamenti sugli stipendi, un calendario per le ferie e una posta elettronica.
La grafica mi è stata descritta come piuttosto rudimentale ed essenziale, ma con una mappa del sito evidente ed immediata, che facilitava gli spostamenti nella rete e velocizzava di conseguenza i passaggi di documenti, incentivando la condivisione di informazioni fra i dipendenti.
In conclusione, avere un'Intranet efficace, ben gestita e utilizzata correttamente, favorisce la comunicazione interna e di conseguenza anche quella esterna, fondamentale per un buon funzionamento dell'azienda.

 
  
   

mercoledì 23 giugno 2010

Libano: diario di un'esperienza vissuta

Pubblico qui di seguito un diario di viaggio particolare, scritto da un'amica, che nel 2009 ha visitato alcuni campi profughi dei palestinesi in Libano.
Dal 1948, dopo la prima guerra arabo-israeliana e la fondazione dello Stato di Israele, la popolazione palestinese è stata costretta ad abbandonare la propria terra e a rifugiarsi presso i paesi confinanti tra cui il Libano, in cui è presente la concentrazione più alta di campi profughi. Qui le condizioni sociali ed economiche sono tuttora difficilissime: i palestinesi sono considerati stranieri dallo Stato libanese e sono privati dei più fondamentali diritti civili, politici e umani: il diritto di cittadinanza, di voto e di associazione gli sono negati, così come non viene riconosciuto loro il diritto al lavoro e la possibilità quindi di accedere a  numerose professioni. Molti dei campi inoltre, sono sprovvisti di regolamentazioni e leggi stabili, che, quando presenti, variano continuamente a seconda dei rapporti di potere, lasciando la popolazione nel caos.
Mi è sembrato importante quindi dare spazio a questo diario, testimonianza diretta della condizione del popolo palestinese in questo momento, di cui noi abbiamo informazione soltanto attraverso i giornali.



Partenza, Libano!
Questo viaggio è un viaggio della memoria, un viaggio per non dimenticare il massacro di profughi palestinesi avvenuto nel 1982 a Sabra e Shatila.

Primo giorno. Kassem è un palestinese, un ex combattente dell’OLP, è lui che ci accoglie nella caotica Beirut. Attualmente lavora per una associazione laica che si occupa dei palestinesi, di lui mi è piaciuto subito quel suo sorriso smagliante stampato in faccia, un sorriso genuino e gli occhi ridenti, con lui ci siamo sentiti subito a nostro agio. Si, ci siamo, perché siamo in tanti partiti dall’Italia per questo viaggio della memoria.
Yalla! Yalla! Pare il grido di battaglia di questo nostro viaggio che per una settimana ci porterà tra i campi profughi dei palestinesi in Libano. Kassem parla inglese ma, ogni tanto, si lascia andare all’arabo e sempre lancia il suo grido ”yalla, yalla!”, andiamo, andiamo!

Oggi, secondo giorno, incontreremo il sindaco di Sidone, un uomo che cerca d’instaurare un buon rapporto con i profughi palestinesi la cui situazione in Libano non è semplice. Il motivo principale è che non vengono riconosciuti come rifugiati e conseguentemente manca loro il relativo status e i privilegi che questo porta con sé. Questo popolo non ha una cittadinanza perché non ha uno stato e nemmeno viene concessa loro quella libanese. Chiederla poi sarebbe un disonore perché accettarla significherebbe rinunciare alla loro terra, la Palestina.

Dopo pochi giorni di viaggio ho già netta la sensazione della suddivisione della popolazione libanese: una parte rispetta i diritti di questi profughi e un’altra mal sopporta questa loro “permanenza forzata” in Libano. La suddivisione tra chi sprona e chi rallenta la ricostruzione del campo di Naher El Bared, bombardato nel 2007, ne è un esempio lampante.

Per entrare nei campi bisogna superare i check point libanesi. Passare di fianco a soldati armati di tutto punto, fucile mitragliatore in mano e carro armato appostato, non è bello. Questa non è una violenza fisica immediata, ma rimane pur sempre una violenza. Libanesi e palestinesi si sono ormai abituati ed è ancora peggio. Mi è stato raccontato lo stupore di un bimbo palestinese, adottato da una famiglia romana, per la mancanza in Italia dei posti di blocco.

Quarto giorno. Eccoci nel campo di Shatila. Sabra non c’è più, è stato raso al suolo! I problemi più gravi di questo campo sono noti e sono comuni a molti altri i campi: riguardano il sistema fognario, quello elettrico e l’assistenza sanitaria.
Non ho potuto visitare il campo di Naher El Bared perché per entrarvi serve un permesso rilasciato dal ministro degli interni e io e pochi altri, non ne siamo stati onorati.
Non potendo visitare Naher El Bared, siamo stati condotti al campo di Beddawi, quello dove si sono rifugiati gli sfollati dei recenti bombardamenti (2007). A Beddawi abbiamo visitato le consuete strutture di base ma la novità è stata entrare in una casa, parlare con una famiglia. Questa famiglia, come tutti i sopravissuti di Naher el Bared si è rifugiata a Beddawi, ma questa è una famiglia “fortunata”; a causa della paralisi del padre è stata sistemata in una abitazione e non nel tipico “garage” com’è capitato alla maggior parte degli sfollati. Ci raccontano che quando sono iniziati i bombardamenti a Naher el Bared loro erano in casa, i combattimenti e i bombardamenti sono continuati per tre giorni e per le famiglie che cercavano di scappare non era facile uscire dal campo. Sentendoli parlare, sentendo quei ricordi, così impressi nelle loro menti, mi sono venuti i brividi, ho avuto paura e rabbia.

Quinto giorno di viaggio, oggi andiamo al confine con Israele.
Sam, il suo vero nome è Samer, è un ragazzo palestinese di 19 anni, nato a Beirut, che ci accompagna e ci da una mano con l’arabo. Eravamo tranquilli sul pullman quando ci hanno detto che stavamo arrivando, Sam si è alzato in piedi e nel vedere il confine ha avuto una reazione che mi ha profondamente colpita: si agitava tutto e gridava:“This is my country! This is my country!”.
Per un giovane europeo il confine è realmente angosciante. C’è una lunghissima rete con il filo spinato sopra, e dietro un muro. Sullo sfondo si vedono le case degli israeliani circondate da una folta vegetazione, il contrasto con gli arbusti secchi del confine è fortissimo.

Ecco l’ultima sera di questo viaggio tra i campi dei profughi palestinesi. Scoppia un grosso temporale, piove a dirotto. Nella mia mente vedo Shatila devastato dal diluvio: la luce saltata, il buio totale, l’acqua corrente interrotta e fango, fango ovunque. È vita questa?

Finalmente sono sull’aereo. Tornare a casa è bello, è bello avere la luce e l’acqua corrente calda e fredda. È bello raccontare per condividere e riflettere su quello che ho visto.

La bandiera palestinese ha il nero in alto in segno di lutto. Quando i palestinesi avranno finalmente la pace e un loro stato, la bandiera verrà voltata e il verde speranza sarà il primo colore. Yalla!


mercoledì 2 giugno 2010

Bregovic LIVE in Guca 2007 (KALASHNIKOV)

Woodstock dell' Europa dell'est

Capita spesso, quando si sente parlare dei paesi balcanici, che inevitabilmente venga alla mente la disgregazione della Jugoslavia negli anni '90 e la guerra che ne è derivata, un conflitto etnico e religioso di cui ancora oggi soprattutto Bosnia e Serbia portano il segno.
Tuttavia, nonostante le difficoltà e i contrasti tra le popolazioni, questi paesi conservano ancora intatta una propria cultura, forse da alcuni di noi ancora poco conosciuta. Io per prima non ne ero molto informata, se non fosse che, per caso, quest anno mi è capitato di organizzare un viaggio proprio in questi luoghi e tra le tante notizie e curiosità sulla Serbia in particolare, ho scoperto l' esistenza di un evento decisamente caratteristico: il Guca trumpet festival, appuntamento tradizionale di musica popolare per fiati, noto anche con il nome di Assemblea Dragacevo.
Inizialmente solo un evento locale, il festival con il tempo è diventato internazionale e ospita ogni anno milioni di persone provenienti da tutto il mondo, che giungono a Guca, villaggio della Serbia centrale, per assistere ai concerti e ascoltare i ritmi frenetici che caratterizzano la musica dei suonatori di tromba.
Le orchestre di ottoni che si alternano sul palco sono composte per la maggior parte da musicisti rom, che portano avanti una tradizione che ha avuto origine nel XIX secolo, durante la guerra di liberazione contro l' impero Ottomano, sotto la guida di Milos Obrenovic.
I diversi suoni, tipici della Serbia più rurale si mescolano tra loro, in una musica tradizionale che spesso ha accompagnato, e accompagna tutt'ora, una serie di eventi tipici della vita quotidiana della popolazione, dai matrimoni ai battesimi e alle feste di chiesa; un ritorno quindi di questo popolo alle sue radici più profonde, con l' intento di mantenere in vita una tradizione musicale ormai antica, spesso rivisitandola, con lo scopo di diffonderla soprattutto tra i più giovani.
Un esempio della riuscita di questo progetto, è la musica di Goran Bregovic, musicista balcanico, che ha acquisito fama internazionale proprio arrangiando i brani appartenenti a questa tradizione, conquistando soprattutto un pubblico giovane, che per la prima volta si è accostato ad una cultura popolare quasi sconosciuta.
L'evento dura solitamente 8 giorni e ad agosto 2010, festeggia il suo 50esimo anniversario; sul sito ufficiale è possibile trovare il programma dei concerti e diverse informazioni sul luogo che li ospita.
Qualcuno ha persino definito il festival la " Woodstock dell' Europa del est" ...sarà vero? Forse il paragone è un po' eccessivo, ma per curiosità credo proprio che andrò a vedere!!

mercoledì 5 maggio 2010

Un indovino mi disse

Chi di noi occidentali, nel mondo di oggi, crede ancora alle profezie o alle superstizioni? chi di voi, più che altro, sarebbe disposto a stravolgere i propri progetti o a modificare parte della propria vita per dare retta alle visioni di qualche veggente? Pochi credo, forse nessuno.
Invece è proprio quello che Terzani decide di fare nel 1993, dopo un incontro casuale ad Hong Kong, avvenuto sedici anni prima, con un indovino cinese. Passa molto tempo da allora, ma le parole della profezia, che gli consigliavano di non volare in quell anno, se voleva sfuggire alla morte, non sono state dimenticate.
La scelta di rinunciare a prendere aerei risulta estremamente difficile, considerando il lavoro che Terzani svolge in quel momento come corrispondente nei paesi asiatici per il settimanale Der Spiegel, ma per lui rappresenta una sfida a cui non vuole rinunciare e forse anche una scusa per rallentare, dopo anni di viaggi in aereo, orari e scadenze da rispettare. 
Da questa decisione ne nasce un viaggio, lungo dodici mesi, attraverso l' Asia, da Hong Kong al Laos alla Birmania, dal Vietnam in Malesia, dalla Thailandia, a Singapore, fino in Europa, e ne nasce un libro che è un racconto delle avventure vissute per varcare i confini tra una nazione e l'altra, dei viaggi in treno e di quelli in nave, contro le leggi cinesi che sull'acqua consentono solo il trasporto di merci, ed è un diario, che descrive i luoghi visitati, riporta le impressioni di fronte al cambiamento radicale subìto dai paesi orientali nel corso di pochissimi anni e insegna al lettore ad osservare il mondo con occhi diversi, a soffermarsi sui dettagli, sulle persone e a comprendere e rispettare culture distanti anni luce da quelle occidentali, dove le profezie non appartengono al passato, ma sono ancora ben presenti nella vita quotidiana.
Durante questo viaggio infatti, Terzani affronta incontri con diversi santoni e guaritori sempre con grande scetticismo, che non gli impedisce però, di provare anche un profondo rispetto per questi sciamani e per quelle persone che si affidano ciecamente ai loro consigli.
Attraverso gli occhi del giornalista, che ci documenta passo dopo passo i suoi lenti e faticosi spostamenti senza utilizzo di aerei, il mondo si mostra con le sue reali dimensioni, le distanze riacquistano il loro valore, i luoghi il loro significato e il tempo si dilata, lasciando lo spazio per riflettere e per comprendere anche quegli aspetti che non si conciliano con le logiche che guidano la nostra vita.
"Il viaggiare in treno o in nave m'ha ridato il senso della vastità del mondo e soprattutto m'ha fatto riscoprire un'umanità, quella dei più, quella di cui uno, a forza di volare, dimentica quasi l'esistenza: l'umanità che si sposta carica di pacchi e di bambini, quella cui gli aerei e tutto il resto passano in ogni senso sopra la testa." Così spiega Terzani, e  forse sono queste le parole che esprimono in modo chiaro cosa significa veramente viaggiare. 
     



  

    

giovedì 29 aprile 2010

Repubblica.it si trasforma

"La noia, figlia dell' abitudine, è la morte di tutti i matrimoni, anche quelli fra lettori e giornali". Così risponde con ironia  il direttore del sito di Repubblica, Vittorio Zucconi, a uno dei tanti commenti dei lettori che il 20 aprile hanno aperto l' homepage del giornale e hanno dovuto confrontarsi con una nuova grafica.
Nell' epoca di Internet, in cui è possibile reperire informazioni con grande facilità e le notizie restano tali per un brevissimo arco di tempo, anche la grafica dei siti dei quotidiani deve adeguarsi, per garantire maggiore efficacia e rapidità nella fruizione dei contenuti. Per questo Repubblica, come già è avvenuto quattro anni fa, si rinnova, dimostrando di possedere anche on - line, quello spirito innovativo e progressista che ha caratterizzato il giornale cartaceo fin dalla sua nascita, nell' ormai lontano 1976.
Con la nuova grafica è stata creata un' homepage più lineare, ordinata e di più ampio respiro, grazie a una maggior larghezza della pagina, alla distribuzione dei contenuti su più colonne e alla scelta del blu come colore di sfondo prevalente, che, a mio parere, contribuisce a dare l' effetto di una maggior distensione nella disposizione degli articoli. 
La parte centrale è dedicata alle notizie principali e alla cronaca, la colonna di destra approfondisce argomenti di costume, sport e società, mentre la grande novità, è rappresentata dall' area in basso a sinistra, che può essere personalizzata a seconda dei propri interessi. L' intento principale dunque, non è solo quello di attirare il maggior numero di lettori, ma anche di instaurare con loro una comunicazione diretta e trasformarsi sempre di più in un giornale su misura per il singolo utente.
Maggiore multimedialità è stata ottenuta aumentando la presenza di strumenti quali foto e video, anche all' interno delle varie sezioni, mentre le firme del giornale hanno acquistato più spazio attraverso i blog, tra cui quello del direttore e quelli d' autore, grazie ai quali l' utente può approfondire gli argomenti che più gli interessano e interagire in modo attivo con la testata.
Il parere dei lettori sul cambiamento è controverso: per alcuni positivo, per altri, la presenza eccessiva di pubblicità e la somiglianza al sito del Corriere della Sera, sono fattori negativi, che hanno diminuito l' originalità del giornale e danneggiato la sua immagine. 
In realtà: "Repubblica. it cambia, ma non troppo" a quanto dice la redazione e la trasformazione dovrebbe riguardare soltanto la forma, ma non i contenuti.





martedì 27 aprile 2010

Primavera in Olanda

Per chi si considera amante dei fiori questo è sicuramente un viaggio che non può perdersi! Tra metà aprile e inizio maggio, la fioritura dei tulipani è una delle principali attrazioni dell' Olanda; immense distese di campi si ricoprono di fiori multicolori che rendono il paesaggio uno spettacolo unico.
Anche se l' associazione dei tulipani all' Olanda è da tempo molto comune, in realtà la nascita spontanea di questo fiore avvenne in oriente, nelle attuali regioni della Turchia, dell' Iran e dell' Afghanistan, durante il periodo dell ' Impero Persiano e soltanto nel XVI secolo comparve in Europa, dando vita a un intenso commercio.
Nelle terre olandesi la produzione cominciò nelle zone intorno ad Haarlem, una cittadina poco distante da Amsterdam, e si diffuse in seguito in tutto il paese. Oggi l' Olanda è uno dei maggiori produttori di fiori a bulbo nel mondo, grazie al clima che ne favorisce la crescita e agli esperimenti dei coltivatori, che hanno portato alla creazione di numerose variazioni dalle forme e dai colori precedentemente sconosciuti. Queste sperimentazioni, che dimostrano una notevole competenza nel settore, non solo permettono di rinnovare continuamente il mercato, ma sono fondamentali per contrastare la concorrenza della Cina e della Polonia, attualmente molto forte.
Per chi avesse la fortuna di trovarsi nel paese dei tulipani proprio in questo periodo, il consiglio è di recarsi nella regione dello Zuid Holland, la zona considerata più famosa per poter ammirare campi fioriti interminabili e per visitare uno dei parchi più importanti dell' Olanda: il Keukenhof, situato nelle vicinanze di Lisse.
Chiamato anche "Giardino d' Europa", venne creato nel 1949 e da allora, ogni anno, raccoglie al suo interno nuovi ibridi e milioni di fiori che rendono il parco un paesaggio incredibile.

venerdì 23 aprile 2010

Una nuova scoperta

L' inizio del corso di informatica applicata al giornalismo venerdì scorso, mi ha effettivamente aperto un mondo nuovo. Non sono particolarmente appassionata di informatica, uso relativamente spesso il computer e ovviamente, prima di oggi non avevo mai pensato di creare un blog...invece eccomi qui! La richiesta del professor Alfonso mi ha posto davanti a una serie di interrogativi sull' argomento: perché creare un blog? come e cosa scrivervi all' interno? un blog può essere considerato un efficace mezzo di comunicazione?
Per quanto riguarda l' ultima di queste domande, a mio parere la risposta è affermativa: la consultazione di blog più professionali come quello di Marco Travaglio, Beppe Grillo e Marco Pratellesi, mi ha fatto percepire quanto sia facile e immediato per il lettore condividere informazioni attraverso questo strumento, ottenere maggiori conoscenze e soprattutto partecipare attivamente con commenti e opinioni.
Ho pensato di creare il mio blog inserendovi non solo gli argomenti che verranno trattati durante il corso in questi mesi, ma anche temi come il viaggio e la fotografia che considero elementi efficaci per comunicare e confrontarsi con gli altri.
Viaggiare è sicuramente un modo per evadere dalla quotidianità, ma nello stesso tempo permette di venire a contatto con culture e persone differenti, volgere lo sguardo verso altre realtà e avere così una percezione globale e corretta di ciò che avviene intorno a noi.
Così come esistono modi differenti di interpretare e vivere il viaggio, anche la fotografia spesso ci dimostra quanto possono essere diversi i punti di visti e le percezioni della realtà che in un primo momento sembrerebbe uguale per tutti. Ogni scatto inoltre, cattura e mantiene vivo un momento particolare, un episodio vissuto o un' impressione sul mondo; riuscire a comunicare queste esperienze e farle rivivere ad altri, anche solo parzialmente, è forse il valore più grande che la fotografia può avere.